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Epicondilite

L’Epicondilite fu definita “Tennis albow” cioè “gomito del tennista” da un medico britannico verso la fine del 1800 secondo cui la continua sollecitazione dei muscoli estensori nel colpo di rovescio dava origine all’infiammazione tendinea. Ma vedremo che, rivista ai giorni nostri, non è solo una patologia degli sportivi, non solo i tennisti, ma lo è anche per svariate categorie professionali.

Quando si parla di epicondilite si intende una entesopatia cioè una tendinopatia inserzionale o più semplicemente una infiammazione inserzionale del tendine muscolare a livello epicondilo ideo.

L’epicondilite è sempre laterale cioè radiale mentre quando trattasi di epitrocleite significa essere mediale cioè lato ulnare.

Di contro, quest’ultima fu invece definita “gomito del golfista” in quanto al contrario dei tennisti che di rovescio sfruttano maggiormente la muscolatura radiale dell’avambraccio, i golfisti quando assestano i loro colpi vanno a sollecitare maggiormente la muscolatura ulnare.

Ma cosa sono l’epicondilo e l’epitroclea?

Semplicemente sono 2 escrescenze ossee dell’omero inferiore che concorrono, assieme all’Olecrano, a formare l’articolazione del gomito.

L’epicondilo come abbiamo detto è posto all’esterno cioè laterale mentre l’epitroclea all’interno cioè mediale.

Quali sono i muscoli che sono responsabili di tale affezione?

In primis certamente l’Estensore radiale breve del carpo ma anche tutti i muscoli prono supinatori aventi le inserzioni tendinee all’epicondilo.

A quale età è più facile contrarla?

Generalmente la casistica indica che fra i 28 ed i 55 anni è più frequente.

Quali le cause?

Normalmente la patologia si instaura attraverso la ripetitività del gesto di prono supinazione ed estensione (ad esempio avvitare spesso col cacciavite, cliccare ripetutamente sul mouse, digitare sulla tastiera, sollevare pesi sempre allo stesso modo ecc.)

Le cause potenziali quindi più ricorrenti sono i ripetuti microtraumi a carico delle inserzioni tendinee che vengono a loro volta indebolite e spesso vanno incontro a rottura dei fasci inserzionali.

Il forte dolore è dato sia dal tentativo di autoriparazione della lesione che il nostro organismo pone in essere oltre che dallo stato infiammatorio dei tessuti medesimi.

Si tende a semplificare un po’ dicendo che ogni individuo ha una sua predisposizione a prescindere nel contrarre questa affezione patologica, probabilmente vi può essere anche una parte di verità ma, non essendo così quantificabile, certamente bisogna partire dal gesto svolto individualmente e dallo stress osteo-muscolare prodotto durante l’esecuzione di tale gestualità ripetuta più volte.

Come si arriva alla diagnosi?

L’anamnesi accurata dei fattori potenzialmente scatenanti è il primo passo.

Successivamente si passa alla palpazione dei tessuti attorno all’epicondilo cercando di individuare il punto o i punti critici per escludere eventuale altra patologia.

Quindi si procede con i seguenti test muscolari:

1 – estendere passivamente con lieve forzatura l’avambraccio e portare in flessione palmare la mano valutando la reazione sintomatica;

2 – flettere attivamente l’avambraccio e poi estenderlo totalmente col palmo della mano rivolto verso terra.;

3 – estendere gomito e polso quindi opporre resistenza all’estensione del 3° dito.

4 – portare in flessione passiva il polso (test di Mils)

5 – estendere attivamente il polso contro resistenza (test di Cotzen)

Già con questi test si evidenzia subito se e di quale grado vi sia l’affezione.

Quale diagnostica strumentale?

Qualora si sospetti una infrazione ossea o intrarticolare va eseguita una radiografia rx. Nel caso di affezione circoscritta ai tessuti morbidi si consiglia l’ecografia che evidenzia gli stati tissutali profondi assieme ad una elettromiografia ai muscoli estensori dell’avambraccio.

Una eventuale RMN si giustifica nel caso di ipotetico intervento chirurgico dopo la mancata risoluzione della patologia attraverso le terapie conservative a distanza di qualche mese dalla sua insorgenza.

Quali le terapie possibili?

L’approccio terapeutico conservativo è dato da una molteplicità di trattamenti, in primo luogo mettere per una diecina di giorni a riposo da lavoro l’arto offeso facendo crioterapia più volte al giorno che lenisce il dolore diminuendo lo stato infiammatorio con aggiunta di terapia farmacologica antinfiammatoria orale e topica prescritta dal medico.

Senza un adeguata osservanza del periodo di riposo dell’arto si rischia di vanificare qualunque terapia conseguente.

Il blocco del polso è la vera principale terapia volta ad impedire le sollecitazioni tendinee: è pertanto consigliato utilizzare una ortesi da polso con stecca anteriore in modo da mantenere quest’ultimo in leggera estensione permanente per almeno un mese nei casi meno gravi ed oltre 2 mesi nelle epicondiliti marcate.

Questo non impedisce di effettuare tutte le possibili terapie di seguito indicate:

procedere con massaggio trasverso profondo, ultrasuoni ed elettroterapia. infine,meglio se aiutati dal ghiaccio attuare manovre di sblocco manuale dell’articolazione in ottica fisiokinesiterapica.

Se lo stato infiammatorio permane oltre i 2 mesi anche dopo aver provato con le onde d’urto si rende necessario prendere in esame l’intervento chirurgico liberatorio in artroscopia o per via percutanea.

Come fare prevenzione?

Diciamo che in situazioni come nel caso dell’epicondilite la prevenzione non esiste. I nostri arti superiori sono costantemente all’opera in una molteplicità quotidiana di movimenti più o meno usuranti.

La vera prevenzione sarebbe evitare di ripetere alcune gestualità a rischio ma se tali gestualità sono alla base del nostro lavoro quotidiano diventa facile a dirsi ma difficile a farsi.

Ad esempio, nel caso del tennista la prevenzione si fa imparando a colpire di rovescio a due mani.

Questo gesto riduce drasticamente il rischio.

Non a caso l’epicondilite ”vince” 95% contro il solo 5% delle epitrocleiti, si è mai visto un golfista colpire la pallina tenendo la stecca in una sola mano? Ma allo stesso tempo va riconosciuto che il golfista colpisce la pallina molto meno ripetutamente di un tennista.

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